Categories: Archivio, Pol. Agricole

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“Nella riforma della politica agricola comune si sta ipotizzando di prorogare le quote zucchero ed i diritti di impianto vitivinicoli. In questa situazione è proprio un tabù parlare anche di una proroga del regime delle quote latte? Forse occorrerebbe un po’ di coerenza. Anche perché  la proposta del Parlamento Europeo che interverrebbe per ‘temperare’ la liberalizzazione dal 2015, a nostro avviso, rischia di non essere efficace a fronteggiare gli squilibri del mercato interno ed è anche incoerente con la logica del ‘pacchetto latte’. E allora perché superare un regime che, bene o male, ha consentito negli ultimi trent’anni della sua applicazione una razionalizzazione degli allevamenti da latte italiani? Lo chiede il presidente di Confagricoltura Mario Guidi, intervenendo ad una Tavola rotonda, nell’ambito dell’incontro promosso dalla sede di Piacenza su ‘Il dopo quote latte: proposte per il futuro del settore’.
 
“Le quote – ha commentato Guidi – non hanno certo impedito che i nostri allevamenti si rafforzassero aumentando di dimensione economica: oggi di fatto produciamo lo stesso latte di trent’anni fa con l’80 per cento di allevamenti e 40 per cento di vacche in meno (v. tabella). E sono uno strumento che al tempo stesso ha consentito il mantenimento del potenziale produttivo nazionale”.
 
“Abbiamo sollecitato – ha aggiunto – un ripensamento da parte della Commissione sulla scelta di abolire il regime delle quote latte che è pur sempre un sistema che favorisce l’equilibrio tra le aree produttive degli Stati membri della Comunità. Nutriamo forti preoccupazioni per il futuro delle produzioni italiane, se prevalesse la logica della  piena liberalizzazione della produzione europea. Peraltro, per i nostri produttori non sarebbe prevista alcuna forma di compensazione come invece è stato per altri settori”.
 
Ad avviso del presidente di Confagricoltura, “la strada che appare più percorribile è comunque quella dell’aggregazione dei produttori, in modo da poter competere con le altre grosse realtà europee. Non dimentichiamoci che negli altri Paesi c’è molta più adesione alle forme aggregate di produzione che peraltro sono in numero molto inferiore e di dimensioni molto maggiori rispetto all’ampia frammentazione sul nostro territorio”.