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In occasione dell’ultimo Consiglio agricoltura sotto Presidenza lettone, svoltosi a Lussemburgo lo scorso 16 giugno, i Ministri dell’agricoltura dei 28 Stati membri dell’UE sono riusciti a trovare un accordo sulla posizione negoziale del Consiglio sulla riforma della legislazione sull’agricoltura biologica, in attesa del via libera anche da parte del Parlamento europeo.
Gli eurodeputati, dal canto loro, dovrebbero votare in commissione agricoltura a metà settembre, visto che si continua a rallentare e l’ulteriore rinvio della data ultima per la presentazione degli emendamenti alla relazione Hausling (22 giugno) comporterà lo slittamento del voto finale a dopo l’estate.
Per quanto riguarda il contenuto dell’accordo raggiunto in Consiglio, non siamo certo al massimo dell’ambizione. Se è da registrare positivamente il fatto che esista un compromesso (ricordiamo come Austria, Olanda e Germania fossero pronte a rigettare il testo nella sua totalità), molte delle proposte avanzate vanno nel non auspicato senso del mantenimento di deroghe ed eccezioni. In altre parole, la proposta di armonizzare ed irrigidire il sistema, verso un vero biologico europeo, è lungi dall’essere raggiunta.
Il compromesso finale è stato votato a maggioranza, consentendo cosi di superare gli scogli rappresentati dalle regole sui residui e dalla frequenza dei controlli. Una minoranza di paesi ha comunque votato contro il compromesso (Bulgaria, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca e Belgio), mentre Croazia e Cipro si sono astenuti.
L’accordo prevede che i Paesi che già impongono soglie nazionali (con conseguente “declassificazione” dei prodotti contaminati) possano continuare ad applicare tali norme fino alla fine del 2020. Tuttavia questa possibilità di negare la certificazione non dovrà impedire l’immissione in commercio di altri prodotti provenienti da altri Stati membri.
La spinta di alcuni Paesi per norme rigide che garantiscano il consumatore ha trovato un ostacolo insormontabile in quegli Stati membri che invece hanno respinto vigorosamente ogni possibilità di introdurre soglie di contaminazione (Danimarca, Austria, Irlanda, Olanda e Germania).
Per quanto riguarda invece la frequenza dei controlli, la posizione finale del Consiglio prevede un approccio basato sul rischio, con possibilità, per le aziende con controlli negativi negli ultimi tre anni almeno, di avere controlli ogni 30 mesi piuttosto che annuali.