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Direttore generale della Confagricoltura, Luigi Mastrobuono viene da altre e significative esperienze politiche e professionali che solo incidentalmente hanno avuto a che fare con l’agricoltura. Un confronto con lui e’ interessante anche per questa ragione. L’idea di un’intervista e’ nata durante una serata che Confagricoltura ha organizzato nel proprio spazio Expo a Palazzo degli Atellani. Inevitabilmente abbiamo iniziato a parlare dell’Esposizione universale e altrettanto inevitabilmente si e’ scivolati su altri argomenti non senza constatare, in premessa e con qualche amarezza, il costante declino dell’Italia.
L’Esposizione universale e’ importante?
Expo e’ una situazione unica – sotto il profilo tecnologico, economico, dello scambio prolungato nel tempo tra paesi diversi – che produce condizioni inedite rispetto a quelle che siamo abituati a vivere.
Dunque e’ utile…
E’ utile. Cio’ che temo tuttavia e’ che non si riesca a capitalizzare queste relazioni o a dare corpo, a vantaggio della filiera, a cio’ che emerge nei dibattito.
Come si puo’ ovviare?
Servirebbe un luogo, ad esempio una piattaforma virtuale, in cui depositare i risultati quotidiani e dove le imprese continuino a confrontarsi.
A chi tocca farlo?
Questa era una delle missioni del ministero delle politiche agricole. Quando il governo si insedio’ chiedemmo che un pezzo del ministero si dedicasse a questa attivita’ e si spostasse a Milano, in occasione di Expo, proprio per capitalizzare le conoscenze.
Non c’e’ speranza di farlo, quindi…
Si potrebbe agire ancora adesso nell’ottica del rilancio dell’agricoltura italiana. Il tempo per realizzarlo c’e’ e potrebbe rappresentare il salto di qualita’ della seconda parte di Expo, attivando piu’ capacita’ di assorbimento della conoscenza che vi si produce e di sintesi.
Per esempio su cosa?
Il tema della sostenibilita’ e’ inflazionato. Bisogna capire meglio cosa intendiamo e cosa vogliamo veramente. Oltre alla carta di Milano dobbiamo portare avanti linee strategiche di sviluppo, a fronte di quello che si propongono altri paesi; relazioni con imprese che sono significative sotto il profilo dell’innovazione, relazioni internazionali solide per costruire alleanze, non solo mercati per esportazioni. E tutto questo va fatto a livello di sistema perche’ non e’ sufficiente se lo fa la singola organizzazione o la singola regione.
Ci sono altri obiettivi da perseguire?
La seconda eredita’ di Expo deve essere quella di riposizionare i soggetti che operano nel sistema agricolo: imprese, categorie, ricerca, istituzioni pubbliche. Tutto deve essere ripensato, perche’ anche all’Expo’ leggiamo un mondo che e’ cambiato.
Perche’ dice questo?
Oggi le associazioni e la rappresentanza in genere sono in crisi; crisi che e’ emersa con il governo Renzi, ma che viene da lontano.. Crisi che dipende dal fatto che le associazioni fanno piu’ da intermediario tra lo stato e il socio, piuttosto che occuparsi di sviluppo.
Cosa deve fare un’associazione secondo lei?
Le associazioni devono analizzare cosa e’ successo e debbono focalizzarsi sul lavoro che riguarda la crescita della dimensione aziendale, la capitalizzazione delle imprese e la capacita’ di sostenere e far parte delle filiere. E’ necessario immettere competenze piu’ orientate ai fatti economici, scegliendo sempre i migliori per le cariche elettive e creando un gruppo manageriale che, per esempio, affronti il tema della digitalizzazione, delle nuove forme di sviluppo, dei nuovi mercati.
Come si sostenta un’associazione siffatta?
Associazioni di questo tipo si finanziano sul mercato: rimarranno le migliori.
Confagricoltura sta facendo qualche esperimento in tal senso?
Abbiamo messo in piedi progetti ed alcune strutture, per esempio sul credito. In questo ambito la mancanza di bilanci delle imprese e’ un problema che priva l’imprenditore di una visione piu’ economica dell’impresa: un conto e’ la forfetizzazione fiscale e va bene, ma leggere dai numeri l’impresa resta pur sempre necessario. Le principali banche italiane hanno stretto accordi con noi perche’ svolgiamo questo servizio. Poi la vera frontiera e’ il digitale.
Perche’?
Il valore si sta spostando sulla capacita’ di assemblare e leggere i dati: anche quelli agricoli sono "open data" come prevedono Agricoltura 2.0 e l’impianto di agenda digitale. Sicche’ arriva un gestore qualsiasi eli puo’ utilizzare combinandoli con altri: da qui nasceranno nuovi servizi e nuovi fornitori di conoscenza per le imprese, i trasformatori, i distributori ed i consumatori. Mentre le operazioni burocratiche saranno sempre piu’ gestibili direttamente dall’impresa..
E dunque?
Le associazioni devono riuscire a capire e gestire i dati…….. d’altra parte esistono gia’ piattaforme che gestiscono dati agricoli. Da qui nascono servizi per lo sviluppo, e non solo di intermediazione. Noi ci stiamo ragionando ed Expo e’ probabilmente un buon momento di confronto.
A cosa servirebbe gestire i dati in proprio?
La gestione dei dati farebbe capire cosa crea un valore ulteriore lungo la filiera, o le convenienze della fase di trasformazione e distribuzione, favorendo una corretta redistribuzione lungo la catena, con alleanze serie tra i diversi attori. Il valore va creato e redistribuito, altrimenti tutto si infrange sulla determinazione dei prezzi di cessione, dove vince il piu’ forte sul mercato. Il passaggio chiave diverrebbe l’alleanza, non il prezzo. Si realizzerebbe cosi’ una corretta declinazione della sostenibilita’, anche economica.
A proposito di filiera c’e’ qualche progetto?
Qualche progetto c’e’: per esempio con Birra Peroni, con Barilla, con la filiera dell’ortofrutta surgelato..
Le reti d’impresa funzionano?
Le reti di impresa sono strumenti leggeri che possono avere o non avere forma giuridica, e sono realizzabili tra imprese di diversi settori. Uno strumento agile e moderno per fare quelle alleanze.
Come vede il futuro dell’agricoltura?
L’agricoltura, se immagina solo di preservarsi, in Italia declinera’ ancora. Soltanto una visione di innovazione e sviluppo la puo’ sostenere e le puo’ assicurare il ruolo nel contesto economico post-crisi.