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Oltre 1 milione di lavoratori, con una stabilità dei livelli occupazionali negli ultimi otto anni di grave crisi economica e una sempre maggiore concentrazione nelle aziende più strutturate; valore aggiunto ed export con valori positivi; più lavoro di qualità; più sicurezza e meno infortuni (-25% in cinque anni); più società agricole e nuove figure professionali; più welfare aziendale.
E’ questa la fotografia del mercato del lavoro in agricoltura, un settore vitale e innovativo, con grandi potenzialità di crescita, che offre occupazione sempre più stabile e di qualità e che merita massima considerazione all’interno del contesto economico e sociale del nostro Paese e pari dignità rispetto al mercato del lavoro degli altri settori produttivi.
“Ed invece – ha detto il presidente di Confagricoltura nel corso dell’Academy 2016 “Impresa e lavoro in agricoltura” che si è svolta oggi a Roma – sui media e sui social, l’agricoltura sembra solo caporalato e voucher, voucher e caporalato. Una criminalizzazione del settore indiscriminata e ingiusta, che getta discredito sulle centinaia di migliaia di imprese agricole che operano in modo trasparente e creano occupazione e ricchezza”.
A tale proposto i dati che circolano di recente in merito al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento del lavoro suscitano grande perplessità in Confagricoltura. Affermare che esso riguardi più di 400.000 lavoratori equivale a sostenere che tutti i lavoratori agricoli del nostro Paese siano reclutati dai caporali e sottoposti a forme di sfruttamento. Infatti dai dati ufficiali ISTAT e INPS emerge chiaramente che gli occupati mediamente denunciati ogni mese in agricoltura sono circa 450.000.
Allo stesso modo, quando si citano i dati sul tasso di tutte le irregolarità, anche meramente formali, rilevate dalle ispezioni del ministero del Lavoro nel 2015, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di non indicare strumentalmente solo i dati relativi alle aziende agricole (54,24%). Dal Rapporto del ministero del Lavoro emerge, infatti, che il tasso di irregolarità generale delle aziende ispezionate – e dunque di quelle già scelte sulla base di indicatori di rischio – e’ pari al 60% e che l’agricoltura è solo al quarto posto tra i vari settori merceologici.
“Con questo non vogliamo certamente sminuire la gravità del fenomeno – ha detto Guidi – ma vogliamo solo ricondurlo nelle giuste dimensioni, anche al fine di combatterlo più efficacemente”.
Confagricoltura non si e’ mai sottratta al confronto su questi temi. Ha sottoscritto quattro avvisi comuni con i sindacati (nel 2004, 2007, 2009, 2012) e contribuito alle politiche e alle procedure per il controllo dell’immigrazione. Recentemente ha firmato il "Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro agricolo" e ha altresì introdotto un codice etico che impone agli associati il rispetto delle norme sul lavoro pena dell’esclusione dalla base associativa. Ne ha mai cavalcato l’opportunità dei voucher per smantellare il tradizionale sistema di occupazione.
Peraltro le caratteristiche del lavoro in agricoltura (diffusione dei rapporti stagionali, mobilità dei lavoratori, influenza dei fattori climatici) richiedono l’applicazione di regole ispirate ai criteri della flessibilità e della semplificazione amministrativa, soprattutto per i rapporti di lavoro stagionali e di breve durata, come avviene in altri Paesi europei (Francia, Germania, Belgio).
“La lotta all’illegalità e all’irregolarità – ha continuato Guidi – non può essere condotta introducendo ulteriori adempimenti a carico dei datori di lavoro, costretti quotidianamente a confrontarsi con una burocrazia ridondante, ma piuttosto alleggerendo la pressione fiscale sul lavoro; migliorando la qualità dei controlli, utilizzando al meglio la mole di informazioni già nella disponibilità delle diverse amministrazioni, facendo finalmente dialogare in modo efficace le banche dati. E attraverso una migliore attività di intelligence da parte degli Organi di vigilanza nella selezione delle aziende da ispezionare, cercando di concentrare l’attenzione su quelle che operano in modo completamente o parzialmente sommerso, a volte contigue alla criminalità organizzata, invece che sui soliti noti”.
In tale ottica la Rete del lavoro agricolo di qualità deve essere ricondotta alla sua funzione originaria di promozione della regolarità sul lavoro e favorire la selezione delle aziende agricole da controllare da parte degli organi di vigilanza, al fine di concentrare l’azione ispettiva su quelle non iscritte.
“Invece – ha sottolineato il presidente di Confagricoltura – alcuni importanti operatori commerciali stanno attribuendo all’iscrizione alla Rete del lavoro agricolo di qualità un valore diverso, considerandola come condizione indispensabile per la fornitura dei prodotti agricoli. La legge, inoltre, nega l’iscrizione anche in presenza di violazioni amministrative lievi e meramente formali che, in alcuni casi, nulla hanno a che vedere con la regolarità del lavoro. Senza trascurare che per ottenere l’iscrizione occorre aspettare parecchi mesi a causa delle inefficienze delle pubbliche amministrazioni competenti”.
Per quanto riguarda il disegno di legge sul caporalato, Confagricoltura ne condivide l’intento, ma non convincono pienamente le misure che il Governo intende mettere in campo, che impattano decisamente sul sistema imprenditoriale agricolo e che non incidono in alcun modo su quelle sacche di inefficienza dello Stato o della Pubblica Amministrazione, come l’assenza di validi servizi di intermediazione, insufficienza della rete di trasporto pubblico nelle aree rurali, immigrazione clandestina, sistema di vigilanza poco mirato, da cui il caporalato trae linfa vitale.
Particolarmente preoccupante appare l’introduzione di un criterio induttivo di valutazione della congruità della manodopera occupata, al quale potrebbe essere legata non solo l’iscrizione alla rete, ma anche l’eventuale concessione di agevolazioni e/o erogazioni di vario genere.
“Si tratta – ha spiegato Guidi – di una misura di dubbia legittimità costituzionale, di difficile ed iniqua applicazione pratica, che rischia paradossalmente di penalizzare le aziende che ottimizzano i fattori della produzione, costringendole a “giustificarsi” per la loro capacità di razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane”.
Le difficoltà che le imprese agricole incontrano nel reclutare manodopera rappresentano infatti una delle principali criticità del sistema. Per questo Confagricoltura ha messo a disposizione delle imprese associate un servizio di intermediazione sul lavoro (Agrijob), gestito direttamente e autorizzato dal ministero del Lavoro. E ha stipulato il 13 luglio 2016 una convenzione con una delle principali agenzia di somministrazione, Umana.
Ma il ruolo che una organizzazione a vocazione datoriale come Confagricoltura può svolgere per cercare di fornire il proprio contributo alla disciplina dei rapporti di lavoro e’ sicuramente la contrattazione collettiva che, in agricoltura, si caratterizza per un marcato decentramento degli aspetti fondamentali del momento negoziale, quali la retribuzione e la classificazione dei dipendenti, che sono demandati al secondo livello di contrattazione, su base territoriale. Per le sue caratteristiche la contrattazione collettiva può svolgere un ruolo fondamentale come presidio della legalità nei diversi territori.
Il sistema di Confagricoltura, con grande senso di responsabilità, ha avviato i negoziati per il rinnovo dei contratti collettivi provinciali di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti, che interessano circa un milione di lavoratori con l’intento di arrivare ad una rapida definizione.
“Con altrettanto senso di responsabilità – ha concluso il presidente Guidi – ci attendiamo che le organizzazioni sindacali dei lavoratori siano pronte ad un confronto sereno e privo di pregiudiziali ideologiche, con il comune obiettivo di addivenire a contratti che, nel rispetto delle regole generali che ci siamo dati, tengano conto della reale situazione del mercato del lavoro locale”.