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A dieci giorni dalla Brexit i problemi non mancano, nonostante l’accordo in extremis abbia impedito nuove imposte, temute in particolare dal settore agroalimentare italiano. I dazi che avrebbero potuto toccare il 50% del valore, sarebbero costati non meno di 800 milioni di euro (su 3,5 miliardi esportati ogni annodi frutta e verdura, cibi trasformati, vini e bevande). «Attenzione – avverte Massimiliano Giansanti nel suo intervento sul Messaggero di domenica 10 gennaio – sin dai primi giorni di entrata in vigore dei nuovi accordi, gli esportatori sono stati costretti a un superlavoro di burocrazia. Chiediamo maggiore attenzione del governo e della UE». Se da una parte l’accordo di fine anno ha evitato dazi, dall’altro si è creato un oggettivo aumento dei costi che Confagricoltura calcola tra il 4 e il 10%. «Secondo le cifre fornite dal governo di Londra – sottolinea Giansanti – le importazioni di merci dalla Ue richiederanno la presentazione di 215 milioni di dichiarazioni doganali, circa 600 mila al giorno». Una montagna di scartoffie. «Un altro punto sensibile – secondo il presidente di Confagricoltura – è quello degli accordi commerciali che saranno sottoscritti dal Regno Unito con i Paesi Terzi, come avvenuto la scorsa settimana con la firma di un’intesa con la Turchia». Sull’export, un altro fronte aperto con gli USA. «Nel comunicato dell’amministrazione americana diffuso giovedì – denuncia Giansanti – si precisa che tutte le possibili opzioni restano aperte, compresa l’imposizione di dazi aggiuntivi sulle esportazioni agroalimentari del nostro Paese. Vanno assunte tutte le iniziative per evitare un contenzioso diretto tra Italia e Stati Uniti, che andrebbe ad aggiungersi a quelli già in atto a livello europeo».