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Di particolare interesse l’impatto sulla filiera cerealicola, che dal 2010 al 2019 ha perso complessivamente quasi 600mila ettari, passando da 3,6 a 3 milioni di ettari in poco meno di 20 anni. Ormai – evidenzia Confagricoltura – i cereali rappresentano meno della metà delle coltivazioni a seminativi.
A pesare su questo calo sembra in particolare la forte flessione delle superfici investite a mais, che si sono ridotte tra il 2010 e il 2020 del 35%, perdendo oltre 300mila ettari (da 927mila a 603mila ettari).
Di converso si registra una tenuta delle coltivazioni di grano duro, che le previsioni di semina indicano in aumento per il 2021 di ben il 5,6%; investimenti probabilmente trainati da una maggiore domanda, in particolare nel Settentrione.
Le superfici a mais dovrebbero registrare una certa stabilità (+0,4%), anche se nel Nord Est, l’areale di maggiore produzione, che rappresenta da solo oltre il 40% delle superfici dedicate in Italia, la previsione di aumento è più rappresentativa (+3,1%).
Due indicatori, quindi, di una probabile positiva inversione di tendenza che potrebbe interessare le principali coltivazioni cerealicole nazionali.
“Uno scenario complessivo in deciso movimento quello dei dati Istat – commenta Nicola Gherardi, componente della Giunta esecutiva confederale – Occorrono politiche adeguate per accompagnare queste trasformazioni: se il mercato può essere sufficiente a trainare gli investimenti di alcune produzioni, occorre d’altro canto agevolare le trasformazioni anche con conoscenze e innovazione, mentre è essenziale evitare di perdere terreno su coltivazioni strategiche, come nel caso dei cereali. Il forte calo di potenziale produttivo del mais nazionale, ad esempio, va contrastato”.
“Bene ha fatto l’Istat – conclude Gherardi – a ricordare il varo del Piano di settore, che prevede alcune misure che pure Confagricoltura aveva auspicato; ma evidentemente occorre un’azione politica continua e più decisa per tutte le produzioni per le quali è a rischio il nostro autoapprovvigionamento”.